Autrice: Bernardine Evaristo
Editore: Edizioni SUR
Anno: 2021 (edizione originale 2008)
Traduzione: Martina Testa
Stelle: 4 su 5
Pagine: 314
In due parole: in una geografia e in un tempo immaginario una schiava bianka racconta la sua fuga dai padroni nehri
E' un mondo non solo rovesciato ma anche completamente reimmaginato quello in cui Bernardine Evaristo ambienta le memorie di Omorenomwara al secolo Doris, rapita da bambina sulla Costa dei Cavoli nelle Terre di Frontiera di Europia, per essere deportata via mare nel regno della Grande Ambossa, vicino alle coste dell'Aphrika. Evaristo stravolge fin dall'inizio la geografia, mostrando una cartina completamente rimaneggiata, e andando avanti nel romanzo rimaneggia anche il tempo mescolando elementi di epoche diverse (crinoline e skateboard, metropolitana e fax). Gioca con la lingua e con gli stereotipi e riesce a scrivere un romanzo terribile e divertente insieme grazie all'ironia. Omorenomwara/Doris è bianca, fa parte di una razza pigra, poco intelligente, con strane usanze, in una parola è inferiore. Vive da schiava tra uomini e donne di una razza a lei superiore appunto, quella nera. Schiava di casa decide di fuggire, ricatturata finisce nella piantagione di zucchero nelle Isole del Giappone Occidentale ma non si arrende e non si piega. E' una trama semplice e gli elementi stranianti lungi dal renderla più inverosimile, rafforzano la riflessione su concetto di razza e sulla schiavitù che è alla base di questo romanzo: gli elementi più terribili (le razzie, la tratta, le torture sistematiche, le condizioni di vita insostenili, lo sfruttamento) sono assolutamente autentici e documentati. Un racconto potente che fa riflettere e costringe a misurarsi con i proprio stereotipi.