venerdì 9 luglio 2021

L'archivio dei bambini perduti

Titolo: L'archivio dei bambini perduti
Autrice: Valeria Luiselli
Editore: La Nuova Frontiera
Anno: 2019 (edizione originale 2019)
Traduzione: Tommaso Pincio
Stelle: 5 su 5
Pagine: 439
In due parole: la storia di una famiglia che si sta perdendo, la tragedia della migrazione, suoni e voci perdute provenienti dal passato e dal presente

Una famiglia in viaggio, da una costa all'altra degli USA, da New York ai confini con il Messico. La madre vuole registrare un documentario sonoro sui bambini migranti che entrano da soli negli Stati Uniti, il padre vuole registrare i suoni perduti degli Apache, con loro ci sono il maschio (figlio di lui) e la femmina (figlia di lei). Per ora sono ancora una famiglia ma sanno anche che presto non lo saranno più, si separeranno, la madre tornerà con la bambina a New York, il padre resterà con il bambino a lavorare sull'archivio dei suoni. La loro storia ci viene raccontata in prima persona dalla madre e dal bambino che registra per la sorella dei messaggi, consapevole che verranno separatati e desideroso di lasciarle una memoria, perché ancora troppo piccola per ricordare quello che gli succederà. Non hanno nomi, se non i nomi indiani che si daranno ad un certo punto del viaggio, gli unici personaggi di cui li conosciamo sono Manuela (un'amica della madre le cui due figlie sono entrate illegalmente dal Messico negli USA e che cerca di di far restare) e i bambini protagonisti di un romanzo che la madre sta leggendo durante il viaggio "Elegie per i bambini perduti" di Ella Camposanto (un romanzo nel romanzo, il libro infatti non esiste).  Le varie parti sono poi intervallate dalla descrizione dei contenuti della scatole d'archivio che la famiglia si porta dietro, tra cui le schede e la mappe dei migranti bambini e adolescenti trovati nel deserto, chiudono il libro una serie di polaroid attribuite al maschio. Una struttura particolare per un libro dagli echi profondi, capace di raccontare il dramma dei migranti attraverso la storia di una famiglia, richiamandosi al genocidio indiano a simboleggiare il modo profondamente ipocrita con cui gli USA raccontano la propria storia e le proprie politiche, usando eufemismi per indicare pratiche (di deportazione e di respingimento) profondamente crudeli. Le stesse tralaltro che pratichiamo anche nella "Fortezza Europa", lì è il deserto a segnare la sorte di chi cerca una vita migliore, qui da noi sono i Balcani e il Mediterraneo. Un libro molto intenso e coinvolgente, doloroso per certi versi, assolutamente consigliato.