Autrice: Octavia E. Butler
Editore: Edizioni SUR
Anno: 2020 (edizione originale 1979)
Traduzione: Veronica Raimo
Stelle: 5 su 5
Pagine: 357
In due parole: una donna torna indietro nel tempo, al tempo dei suoi antenati e scopre sulla sua pelle le contraddizioni dello schiavismo
Ambientato nel 1976 questo bellissimo e doloroso romanzo affronta il tema della schiavitù e delle sue contraddizioni in modo inconsueto ma inaspettatamente potente. Dana e Kevin, lei nera e lui bianco, entrambi scrittori, si trasferiscono in California da New York. Stanno ancora mettendo a posto i loro libri, quando Dana si ritrova improvvisamente nel Maryland un secolo e mezzo prima. Spaventata, confusa, torna quasi immediatamente a casa, per poi ripartire (perché ogni volta appunto un viaggio) ancora e ancora. Va da Rufus, un ragazzino la prima volta e poi un giovane uomo, quando si trova in pericolo ed ha bisogno di essere salvato. Ben presto Dana, sgomenta, capisce che il legame con Rufus, è un legame di sangue, è un suo antenato ed è terribile perché Rufus è bianco e schiavista e Dana è nera e schiava per definizione. Senza entrare nei dettagli della trama per non fare spoiler, Dana vede e sperimenta l'orrore dello schiavismo e le origini della sua antenata Hagar. Quello che vede e sente la sconvolge e la fa riflettere su quello che significa vivere in un eterno presente, sempre in bilico tra sentimenti opposti, tra il desiderio di pace e felicità e la consapevolezza che tutto potrebbe cambiare da un momento all'altro. Butler rielabora il tema dei viaggi nel tempo per raccontare il regime schiavista e per delineare la figura di una donna estremamente consapevole della questione razziale e (mi viene da dire) e della questione di genere. Assolutamente consigliato.