Autore: Victor Klemperer
Editore: Giuntina
Anno: 1998 (edizione originale 1947)
Traduzione: Paola Buscaglione
Stelle: 4 su 5
Pagine: 355
In due parole: la riflessione di un filologo sulle trasformazioni della lingua tedesca ad opera del nazismo e la sua influenza sul sentire comune
Victor Klemperer, quando Hitler salì al potere, era professore al Politecnico di Dresda. Di religione ebraica (anche se non era propriamente un praticante) aveva sposato Eva una donna non ebrea che, in quanto ariana, lo protesse dalla deportazione nei campi di sterminio anche se non dalle persecuzioni. La loro salvezza si deve ai pesanti bombardamenti subiti da Dresda che gli permisero di fuggire dalla Gestapo e di mescolarsi alle migliaia di sfollati dell'ultima fase della guerra. Durante i lunghi anni di emarginazione Klemperer tenne un diario, in cui annotò svariate riflessioni sulla natura e struttura della lingua del Terzo Reich (LTI: Lingua Tertii Imperii) e di come le costruzioni grammaticali, le parole, le formule che l'implacabile macchina della propaganda nazista diffondeva ovunque, contribuì a influenzare profondamente la mentalità dei suoi compatrioti. Questo libro raccoglie quindi questi appunti, riorganizzati ma non snaturati, per cui Klemperer racconta in parte le vicissitudini di lui e della moglie e non solo. Una lettura molto interessante che colpisce, anche per la lucidità con cui Klemperer guardava alla sua condizione e per la sua profonda convinzione che "le parole sono importanti", perchè:
"Ma la lingua non si limita a creare e pensare per me, dirige anche il mio sentire, indirizza tutto il mio essere spirituale quanto più naturalmente, più inconsciamente mi abbandono a lei." [pagina 32]