Autrice: Susan Abulhawa
Editore: Feltrinelli
Anno: 2020 (edizione originale 2019)
Traduzione: Giulia Gazzelloni
Stelle: 4 su 5
Pagine: 356
In due parole: una cella alienante, una vita intensa, la speranza nonostante tutto
La prima cosa che sappiamo dalla voce narrante è che si trova in prigione, il Cubo, isolata, alienata. Alternando la descrizione della sua cella e della sua routine di prigioniera con ricordi del suo passato impariamo a conoscerla, Nahr è figlia di profughi palestinesi rifugiatisi in Kuwait, lei e la sua famiglia, privati delle loro radici, sono eternamente in fuga e lei cerca in ogni modo di trovare la maniera per farcela, prima in Kuwait, poi costretti a fuggire ancora, in Giordania e poi, con un nuovo amore al suo fianco, in Palestina. E' una storia di resistenza, ai rovesci della vita e alle ingiustizie che in certe parti del mondo sono più grandi che in altri parti. E' una storia che omaggia la dignità dei palestinesi, costretti a vivere in modo degradante dagli occupanti israeliani, che testimonia le loro continue umiliazioni e che però riesce a far scorgere un barlume di speranza, non tanto per una giustizia che prima o poi forse arriverà, ma per la tenacia con cui i protagonisti continuano ad andare avanti, nonostante il dolore e le perdite. Davvero toccante.